I Detenuti Musulmani in Italia Tra Diritti di Culto e Rischio Radicalizzazione e

Cosenza. 15 Ottobre 2021

Imam. Ahmed Berraou*




Il tema della radicalizzazione nelle carceri italiane ed europee emerge ogni volta che si parla in tono accusatorio di incitamento alla violenza e all'odio tra detenuti. Di recente, all'interno di un carcere del nord Italia, un detenuto di religione islamica è stato accusato di propaganda jihadista e istigazione alla violenza, il tutto connesso ad accuse di reato per terrorismo e discriminazione razziale, etnica e religiosa. Il tribunale di Torino ha applicato misure di custodia cautelare adeguate ai reati di cui l'uomo è stato accusato. Dalle indagini emergerebbe che l'uomo, guidando la preghiera, incitasse la jihad e incoraggiasse le operazioni terroristiche. Il detenuto, di origine marocchina, aveva in carcere un ruolo di primo piano nel dialogo religioso e nella preghiera, guidando di fatto i fedeli e impartendo lezioni e sermoni, gli stessi che hanno messo in apprensione l'amministrazione penitenziaria. Le indagini sono state portate avanti seguendo da vicino tutti gli appelli e i sermoni tenuti dall'uomo, fino al momento in cui sono state raccolte prove sufficienti a muovere l'accusa.


I detenuti musulmani senza diritti di assistenza spirituale


Purtroppo le religioni nelle carceri italiane non hanno tutte lo stesso peso specifico, e i credenti non godono degli stessi diritti e delle medesime libertà religiose. Si può fare una distinzione tra i diversi livelli. Ad esempio la religione cattolica ha il privilegio secondo il “concordato” del 1929, di avere una sala di culto all’interni dei carceri, un cappellano viene nominato ufficialmente dall'amministrazione penitenziaria come funzionario pubblico dell'istituto. Altre confessioni, in tutto dodici, hanno stipulato accordi con lo Stato italiano sotto forma di intesa, e hanno diritto di nominare i ministri culto che possono assistere spiritualmente loro detenuti, ad eccezione dell'Islam, per il quale si cerca di spingere verso il riconoscimento di un certo grado di ufficialità. Esistono dunque gruppi religiosi, come l'Islam, che non hanno intese o accordi istituzionali, per cui nessun imam può entrare nelle carceri se non come mediatore culturale volontario, fornendo assistenza o organizzando attività ricreative per i detenuti.Sono circa 8000 i detenuti musulmani dichiarati ufficialmente affiliati all'Islam (ma forse sono anche di più, perché non molti lo dichiarano apertamente). Ottomila detenuti corrispondono a un settimo del totale dei detenuti, secondo l'ultimo sondaggio. È chiaro che ogni sondaggio dovrebbe sempre tenere conto del timore nel dichiarare affiliazione, a causa delle conseguenze che ne possono seguire, come un trattamento duro nelle carceri, nonché maggiori controlli e ostacoli per chi si professa musulmano. 


Tentativi recenti per sanare il vuoto.


Nel 2015 l'amministrazione penitenziaria ha stilato un protocollo d'intesa con l'Ucoii (Unione delle Comunità Musulmane Italiane), attraverso il quale è stato reso possibile l'ingresso nelle carceri ad alcuni imam, riconosciuti e autorizzati dal Ministero dell'Interno, considerati imam moderati, tutti con conoscenza e formazione universitaria in relazione alle leggi normative, alla costituzione italiana e al rapporto tra Stato e rappresentanti di altre religioni. Questi imam sono considerati guide volontarie più democratiche e pacifiche, in quanto credono nella coesistenza e convivenza tra più religioni, condannano la violenza e rifiutano l'estremismo.Sono stati avviati negli ultimi anni corsi di alta formazione, in particolare presso l'Università di Padova e Bari, in questo direzione. Molti islamici si sono laureati e sono imam, ministri del culto e guide formatisi proprio per svolgere il proprio servizio nelle carceri. Parallelamente si sono tenuti corsi di formazione anche per il personale penitenziario. L'obiettivo di questo protocollo, firmato tra rappresentanti delle comunità e delle organizzazioni con il Ministero dell'Interno, è stato oltremodo importante, perché ha permesso a molti direttori degli istituti penitenziari di beneficiare delle esperienze di questi imam e rispondere alle richieste dei detenuti, prevedendo il diritto di praticare riti religiosi, in particolare Ramadan, venerdì, festività ed eventi.Di fatto la questione di come le carceri europee possano diventare un'arena dell'estremismo è sempre stata discussa ed esposta da molti ricercatori, attraverso pubblicazioni di ricerche a carattere scientifico e sociologico. In particolare il professore universitario marocchino Mohamed Khaled Al-Ghazzali ha pubblicato un libro sull'argomento. La vera contraddizione sta nel privare i detenuti musulmani del loro diritto a praticare il proprio culto religioso, come normalmente avviene per gli altri credi. Tutto ciò mostra un mancato rispetto dei diritti, compresi quelli legati alle libertà religiose. Diverse ricerche promosse dall'Unione Europea, all'indomani dei sanguinosi attentati degli ultimi anni, hanno mostrato come una persona detenuta possa essere tentata all'estremismo violento quando l'odio per l'Occidente è causato da una percezione di discriminazione religiosa e da una mancanza di protezione per la dignità del singolo musulmano. 

Il protocollo e l’esigenza dell’intesa con l'Islam.

Dopo l'attuazione del protocollo d'intesa e del protocollo tra l'amministrazione penitenziaria e l'Ucoii, modello di riferimento per sperimentare nuove possibilità di introdurre ministri di culto nei luoghi di detenzione e di pena, per garantire l’effettivo esercizio della libertà religiosa. nonché in seguito alla formazione del personale nelle istituzioni, nei dipartimenti e nelle forze di polizia penitenziaria, ad oggi si contano su tutto il territorio italiano tredici imam che operano nelle carceri, ma spesso senza continuità. Inoltre questo sostegno a volte è limitato solo al mese del Ramadan o a particolari festività religiose. Per il resto il sostegno può essere offerto solo in forma di volontariato, come detto in precedenza. Grazie alla pratica di volontariato vengono autorizzati altri trenta imam a prescindere dal protocollo. Sono numeri assolutamente esigui, se si considera che sono circa duecento le carceri italiane per adulti e minori ove necessita assistenza religiosa e che attualmente sono sprovvisti di imam e predicatori esterni abilitati, per cui i detenuti di fede islamica si avviano e si organizzano tra di loro alla preghiera, adattandosi in aree e modalità improvvisate, in quanto mancano spazi e competenze. Mancano le garanzie necessarie a prevenire situazioni come quella creata nel carcere del nord Italia il cui l’imam volontario è stato condannato per incitamento alla violenza e al terrorismo. Questa condanna non va alla radice della problematica e lascia aperto il rischio di una nuova radicalizzazione.La prevenzione nelle carceri rispetto a un'eventuale deriva religiosa estremista e radicale passa necessariamente attraverso il riconoscimento dei diritti fondamentali di ogni detenuto. Come hanno sottolineato gli organismi internazionali, a cominciare dalle Nazioni Unite, è necessario garantire condizioni di detenzione dignitose, in materia di diritti umani, che non alimentano percorsi personali di abuso psicologico e intellettuale. Devono essere garantiti anche spazi dedicati alla preghiera, alla devozione e al rispetto per i rituali e, per contrastare l'estremismo, bisogna rimuovere argomentazioni e moventi che lo stimolino e lo incoraggino.


*Imam. ministro di culto.Presidente Forum marocchini di Calabria